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25 luglio 2014

"Philomena", film sulla forza del perdono

 

Ho visto questo film al cinema qualche mese fa. Mi è piaciuto molto e sono rimasta affascinata dalla personalità della protagonista. 

Il film è ambientato inizialmente negli Stati Uniti, dove Philomena Lee, donna anziana di origini irlandesi, confida alla figlia di essere rimasta incinta da adolescente a causa di una relazione avvenuta con un giovane che conosceva appena. Per questo motivo, la famiglia l'aveva cacciata di casa. Philomena allora si era rifugiata in un convento di suore, dove aveva partorito il figlio con parto podalico e senza antidolorifici. Il bambino era stato chiamato Anthony. Nel convento, Philomena era stata costretta, come molte altre ragazze madri, a svolgere lavori pesanti.
Pochi anni dopo, il figlio le viene sottratto dalla madre superiora (la suora direttrice del convento), che decide di darlo in adozione senza consultare Philomena.
Ricordo molto bene quella scena straziante in cui due signori ben vestiti fanno salire il povero bambino (piccolo piccolo, avrà avuto al massimo 4 anni al momento dell'adozione) su una carrozza, mentre Philomena urla disperata aggrappandosi alle sbarre del cancello del convento per non svenire dal dolore. Tutte le volte che ci penso mi vengono i brividi...



Nonostante siano passati molti anni, Philomena non vuole rinunciare all'idea di ritrovare Anthony e sua figlia le promette di aiutarla. Quest'ultima incontra casualmente in un bar il giornalista Martin e gli propone di aiutare la madre nella ricerca.
Martin incontra dunque la donna e inizia a farle molte domande sul suo passato e sul tipo di vita condotto dalle ragazze madri nel convento. Proprio su questo punto, emergono dalle memorie di Philomena particolari sconvolgenti e sconcertanti che fanno indignare il giornalista.
Martin è coltissimo dal punto di vista storico, pessimista riguardo alla vita umana, dichiaratamente ateo e Philomena invece dispone soltanto di un'istruzione elementare e coltiva un forte e sincero sentimento di fede religiosa. 
Mi ha molto sorpresa il fatto che due persone così diverse tra loro sapessero instaurare un profondo dialogo improntato sul rispetto reciproco, sulla solidarietà e sulla benevolenza.
E' importante rilevare che Philomena, pur non essendo colta, si dimostra davvero equilibrata e intelligente dal momento che riesce, pur vivendo un dolore lacerante, a non confondere Dio con coloro che credono di praticare i suoi precetti e di rappresentarlo manifestando in realtà comportamenti autoritari e indelicati.
E qui mi permetto di aprire un' importante parentesi: non mi piace il fatto che molta gente critichi troppo duramente i religiosi e i sacerdoti. Certo, soprattutto nelle epoche passate sono esistiti esponenti della Chiesa che, oltre a mancare di pietà cristiana, hanno manifestato un carattere duro e intollerante; ma non è giusto generalizzare.
Nel nostro presente i religiosi non sono tutti rigidi, incoerenti e inflessibili. Non proprio tutti. Affermo questo per esperienza personale: conosco ormai bene Don Giorgio Costa, parroco di Bussolengo, un paese vicino al mio. Don Giorgio è un'anima grande: è molto gentile, sensibile, sempre sorridente, aperto al dialogo. Tra l'altro, padroneggia bene la letteratura (pensate solo al fatto che di tanto in tanto cita Foscolo!). E' un sacerdote che sa trasmettere gli insegnamenti di Gesù con molto entusiasmo e con convinzione. Con me è sempre stato buonissimo: in effetti, per tutte le volte che gli chiedevo un colloquio, si è sempre dimostrato disponibile e non ha soltanto chiarito molti miei dubbi ma mi ha dato anche alcuni preziosi consigli. Gli devo davvero molto!!
Citerei anche Padre Ermes Ronchi, teologo di grande intelligenza, progressista  (e in effetti vorrebbe che anche alle donne venisse concesso il sacramento del sacerdozio). Dagli occhi di Padre Ermes traspaiono dolcezza, serenità, amore sincero verso il prossimo.
E comunque anche mio zio Don Attilio è un bravo parroco perché sa instaurare un buon rapporto con i giovani e inoltre non ha mai mancato di rispetto a nessuno dei suoi parrocchiani.

Dunque, dapprima Martin e Philomena si recano nel convento irlandese in cui la donna aveva dimorato per qualche tempo. Però, le religiose sostengono di non disporre di informazioni utili riguardo alle adozioni avvenute in passato dal momento che, secondo quanto riferiscono, i registri sarebbero stati incendiati casualmente molti anni prima. 
Ma, con il passare dei giorni, i due protagonisti apprendono da altre fonti che l'incendio non sarebbe stato affatto casuale e che in realtà i bambini, più che essere stati dati in adozione, erano stati venduti a famiglie benestanti.
Martin allora, grazie alla sua dimestichezza con i mezzi informatici, riesce a scoprire non soltanto che Anthony era stato adottato da due coniugi borghesi con il nome di Michael ma anche che era diventato un avvocato di successo, che era di orientamento omosessuale e che nel 1995, era morto di AIDS. Quest'ultima notizia crea una grande afflizione nell'animo di Philomena, la quale però, anziché prendere l'aereo per ritornare negli Stati Uniti, desidera cercare e incontrare tutte le persone che conoscevano suo figlio: tra queste, Mary, sorella di Michael che riferisce a Philomena quanto i loro genitori amassero Michael e quanto incoraggiassero la sua brillante intelligenza e il compagno di Michael, che riferisce il desiderio di quest'ultimo di conoscere le sue vere origini familiari.

Martin decide allora di ritornare al convento con Philomena e lì, i due protagonisti litigano con una suora molto anziana, convinta del fatto che Philomena meritasse di "pagare per il suo peccato" con la perdita del figlio. Martin si agita, arrossisce, urla contro la suora; ma Philomena riesce, con una pazienza e una mitezza ammirevoli, a calmarlo e poi dichiara il suo perdono alla religiosa. 
Ho trovato molto commovente la scena finale: Philomena trova la tomba del figlio nel giardino del convento e, tra amare lacrime, legge l'iscrizione riportata sulla lapide.

 

Capite ora il motivo per cui ho ammirato la protagonista? Nonostante la grave ingiustizia subìta, ha trovato la forza di perdonare coloro che le avevano fatto del male. Nel film la vediamo spesso sorridere e godere delle piccole cose quotidiane (per esempio, di un caffè al bar, della lettura di un romanzetto rosa) e ci accorgiamo che piuttosto frequentemente sorride tra le lacrime.  Il film mi ha insegnato che perdonare non significa "fare finta di non avere subìto dei torti". Quando qualcuno si impegna a perdonare propone a se stesso di non vendicarsi contro coloro che gli hanno fatto del male e di reprimere il rancore. Nel perdonare, Philomena è riuscita non soltanto ad alleviare il suo enorme dolore ma anche a vivere il resto della sua esistenza senza covare risentimenti. Ammirevole, davvero ammirevole!! Il perdono però richiede una grande forza d'animo. Una forza d'animo che anch'io vorrei avere. Faticare a perdonare è sempre stata una mia fragilità. Le relazioni sono difficili, è vero, ma in esse, quello che io trovo più difficile é imparare a perdonare. Poi è chiaro che il perdono non elimina le ferite dell'anima e non fa dimenticare un passato doloroso, ma permette a chi lo applica, di non alimentare né rabbia né odio verso chi gli ha fatto del male. Il perdono quindi è una gran cosa e fa stare meglio l'individuo. La rabbia e l'odio invece fanno molto male. In pratica, l'uomo che cova odio e rabbia vede il sangue che fuoriesce dalla propria ferita, sente il dolore e, di fronte a ciò, è capace soltanto di lamentarsi, mentre invece l'uomo che perdona è in grado soprattutto di pensare al modo in cui fasciare e cicatrizzare la ferita sanguinante. Non so se riuscite a capire...

Dopo la visione del film, ricordo che ero uscita dalla sala del cinema con gli occhi sbarrati e in auto con mia mamma per la strada del ritorno a casa, non ero in grado di formulare un commento, non sapevo cosa dire (cosa davvero insolita da parte mia, perché alla fine di un film o di un libro trovo sempre le parole per commentare ciò che ho visto o letto).  Certo mi rendo conto del fatto che le suore si sono comportate veramente male con le ragazze madri e con i loro figli; hanno agito da persone malvagie e insensibili. Ma mi ero indignata ancora di più per il comportamento dei familiari di Philomena: ma come si fa a cacciare di casa una ragazza incinta??!! Anche loro hanno mancato di carità cristiana e, soprattutto, di solidarietà e di rispetto verso una nuova vita. E la povera Philomena, a mio avviso, ha pagato troppo cara la sua "scappatella",dal momento che ha dovuto sperimentare molti travagli e molto dolore. Praticamente la sua adolescenza (la sua epoca spensierata) è terminata proprio con il concepimento del figlio. Come ho già detto anche in altri post, io credo che, da parte delle famiglie e della società, sia doveroso aiutare le ragazze madri e accogliere la vita che dimora in loro.



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