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1 giugno 2015

"La morte di Ivan Il'Ic", Lev Tolstoj


La morte di Ivan Il'Ic è un romanzo di Tolstoj pubblicato per la prima volta nel 1886.

L'inizio è ambientato in un ufficio del Tribunale di San Pietroburgo, dove alcuni illustri magistrati stanno discutendo su un importante caso giudiziario. Soltanto uno di loro, Petr Ivanovic si dimostra disinteressato al dibattito e sfoglia le pagine del giornale cittadino. Ad un tratto, vi trova il necrologio relativo a Ivan Il'Ic, un collega che da tempo era gravemente ammalato ed esclama: "Signori! E' morto Ivan Il'Ic!".
Sono rimasta molto sorpresa dalla reazione dei magistrati, i quali, anziché manifestare sentimenti di profonda tristezza per la morte di un collega, accarezzano soltanto il desiderio di sostituirlo e formulano ipotesi su chi di loro potrebbe occupare la sua prestigiosa posizione.
D'altro canto, Prascovia Fedorovna, moglie del defunto, non soltanto finge di piangere la morte del marito, ma rende addirittura palese la sua unica vera preoccupazione; ovvero, quella di ottenere soldi dall'erario dopo la morte di Ivan.
Soltanto il figlio adolescente sembra davvero addolorato per la morte del padre.

Dopo la lettura delle prime pagine del libro, inevitabilmente ci si chiede: "Come mai tutta questa avidità di successo e di denaro da parte delle persone che erano vicine a Ivan Il'Ic?" ...  Pian piano, nel corso della narrazione, l'autore svela la risposta a questa domanda.

A partire dal secondo capitolo infatti, l'autore inizia a raccontare la vita di Ivan Il'Ic. Egli era il secondogenito di un funzionario del governo, aveva studiato Giurisprudenza e, dopo il conseguimento del diploma, era divenuto giudice di una provincia. "Fin dall'età giovanile era stato attratto, come una mosca dalla luce, verso le persone del gran mondo, ne aveva fatto proprie le maniere, le opinioni; e aveva stabilito con loro rapporti di amicizia. (...) Si era abbandonato alla sensualità, alla vanità e da ultimo, alle idee liberali."
Dopo alcune avventure amorose, si era sposato con una ragazza ricca e di origini nobiliari; ma non per amore, quanto piuttosto per garantirsi un certo prestigio sociale.
Poco dopo il matrimonio, si era trasferito a San Pietroburgo dove aveva ottenuto sia una promozione sia un aumento significativo di stipendio. Da quel momento in poi, Ivan Il'Ic " trasferì sul lavoro il centro della propria esistenza. Ivan Il'Ic capì molto presto che la vita matrimoniale, pur presentando alcune comodità era in sostanza qualcosa di pesante e di difficile; se si voleva quindi compiere il proprio dovere e cioè condurre un'esistenza decorosa e accettata dalla società, occorreva stabilire con essa, come con il lavoro, una linea di condotta ben precisa. (...) Egli richiese alla vita di famiglia soltanto quei vantaggi che essa poteva fornirgli: i pranzi, il letto, la conduzione della casa e soprattutto quel decoro esteriore che era apprezzato dall'opinione pubblica." 
Dunque Ivan Il'Ic, disinteressato sia alla nascita dei figli, sia alle richieste di attenzione da parte della moglie e quasi del tutto indifferente verso la morte prematura di due dei suoi cinque bambini, aveva trascurato gli affetti e aveva concentrato tutte le sue aspettative sulla carriera e sulla ricchezza economica.
Egli infatti continuava a riscuotere successo sul piano professionale, al punto che, alla "Corte di San Pietroburgo", aveva ottenuto una nomina che lo poneva di due gradi al di sopra dei suoi colleghi e che gli garantiva cinquemila rubli di stipendio mensile.
Dunque, con la moglie e i figli ancora bambini, si era trasferito in una dimora più grande e spaziosa. Qui, proprio mentre stava fissando una tenda in prossimità di una finestra, era caduto dalla scala sulla quale era salito. All'inizio, questo incidente aveva provocato soltanto un livido sul fianco sinistro, ma poi, Ivan Il'Ic aveva iniziato di tanto in tanto ad avvertire un leggero fastidio, convertitosi pian piano in un dolore costante e molto forte. Aveva consultato numerosi medici, ma nessuno era stato in grado di identificare con precisione la sua malattia.  Intanto, i litigi con la moglie divenivano sempre più frequenti e sempre più aspri: Ivan la criticava in tutto: spesso, da ogni parola che le rivolgeva, traspariva un vero e proprio astio.
Una notte di capodanno, dopo aver trascorso l'intera giornata con il cognato e con altri parenti della moglie, Ivan Il'Ic si era accorto non soltanto del suo profondo cambiamento fisico (osserva se stesso allo specchio e con terrore si accorge di essere pallido ed emaciato), ma anche di essere arrivato ormai alla fine della sua vita. A questo proposito, Tolstoj inserisce una nota ironica: "(...) L'esempio di sillogismo: Caio è un uomo, gli uomini sono mortali e quindi anche Caio è mortale gli era sempre parso giusto, ma solo in relazione a Caio, non a se stesso. Un conto era Caio, l'uomo in generale (...), un conto era lui, che non era Caio ma un essere particolarissimo, completamente diverso da tutti gli altri".
Da quel momento dunque, la sua malattia era divenuta un'ossessione che gli aveva creato un'angoscia tremenda: "Scoprì che l'unico interesse che la sua persona rappresentava per gli altri si riduceva alla scadenza, vicina o lontana, nella quale avrebbe sgomberato il posto, liberato i vivi dall'impaccio della sua presenza e liberato se stesso dalla propria sofferenza." Inoltre, nell'animo del protagonista si accresceva un sentimento di odio verso la propria famiglia, dal momento che lo consideravano soltanto ammalato e non moribondo: "Questa menzogna lo tormentava, lo tormentava l'ostinazione con cui gli altri non volevano ammettere ciò che sapevano, ciò che egli sapeva". Ivan Il'Ic trovava un po' di conforto soltanto nella compagnia di Gerasim, un giovane servo figlio di contadini. "Gerasim si limitava a compatire il padrone che andava spegnendosi." 

L'angoscia di Ivan si era trasformata, nelle ultime settimane di vita, in disperazione: "Aspettò che Gerasim uscisse dalla stanza e si lasciò andare al pianto, come un bambino. Piangeva per la sua impotenza, per la sua terribile solitudine, per la crudeltà degli uomini e di Dio, per l'assenza di Dio."
Proprio da questo momento in avanti egli inizia a ripensare alla sua vita passata, fino al punto in cui rinasce nel suo animo un sentimento di profonda nostalgia per l'infanzia, unico tempo della sua vita incontaminato dalla brama di ricchezza e di potere. Ivan Il'Ic allora inizia a intuire di non aver vissuto rettamente. Ed è proprio la generosità di Gerasim, il suo viso bonario, la sua immensa dolcezza che glielo fa comprendere. Gerasim è un ragazzo di umili origini, che compie volentieri il suo servizio di assistenza presso un magistrato moribondo. 
Mentre Ivan Il'Ic aveva vissuto soltanto in funzione del successo professionale, diventando dunque un uomo egoista, insensibile, privo di premure verso la moglie e i figli, Gerasim spendeva la sua vita mettendo in pratica i precetti del Vangelo, ovvero, la carità e la pazienza.
Alla fine della lettura di questo romanzo, ho pensato ad una frase molto significativa che lo scrittore Alessandro D'Avenia ha pronunciato la sera del 25/01/2014 nel Palazzo della Gran Guardia a Verona, poco prima di commentare alcuni capitoli della "Vita Nuova di Dante": "Quando morirete, non verrete ricordati per ciò che avete posseduto o per quale posizione sociale avete occupato quando eravate in vita. Verrete ricordati per quanto avete amato." 

Il messaggio che Tolstoj vuole trasmettere al lettore è un po' duro, perché sembra dire: "Hai voluto soltanto il successo e i soldi durante la tua breve e fugace esistenza? Allora l'angoscia, il tormento e la menzogna sono ciò che ti meriti durante l'agonia".

Vi lascio anche il commento di Clara Janovic, una critica letteraria: " Nella fase terminale della sua malattia, Ivan Il'ic vive di ricordi, anzi, la vista retrospettiva della sua vita è la sua prima e vera vita, ed è anche l'ultima perché solo la morte, la vicina imminenza della morte gli permette di capire che la sua vita, quella vissuta quotidianamente, non era vita. In questo romanzo il rapporto dei tempi si è capovolto: è il presente, di fronte alla prova estrema della morte, che diventa momento di autenticità, mentre il passato, nutrito di fittizi valori, si svuota di ogni consistenza".


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