Visualizzazioni totali

24 febbraio 2017

Il bambino e l'adolescente nel mondo del cinema e dello spettacolo:


E' una tematica che abbiamo affrontato durante una lezione del corso di storia del cinema e che da un po' di tempo pensavo di proporre anche a voi lettori.
Il post è suddiviso in due parti: nella prima vengono presentati dei bambini che sono entrati molto presto nel mondo del cinema e dello spettacolo, nella seconda invece alcuni adolescenti che si sono trovati a recitare dei ruoli molto difficili e complessi.
Devo precisare una cosa però: molte delle riflessioni che sto proponendo in questo post vengono dalla mia mente e dalle mie capacità di riflettere, quindi sarebbe sbagliato dire che sto ricopiando gli appunti di una lezione accademica. Quella lezione è stata più che altro la scintilla che ha stimolato il mio cervello a pormi alcune domande su questo aspetto cinematografico.


IL BAMBINO NEL CINEMA: 


Va innanzitutto detto che far recitare dei bambini pone delicate questioni di carattere etico.
Eccone alcune:
a) L'impegno come attori all'interno di un film rispetta la loro infanzia, fase della vita caratterizzata soprattutto dalla voglia di divertirsi, di giocare e di confrontarsi con bambini della loro età?
b) E' un bene sfruttare nel mondo dello spettacolo l'immagine di un bambino che magari già a
sei anni dimostra un grande talento musicale?
c) Per un bambino è psicologicamente benefico impegnarsi nell'interpretazione di ruoli particolarmente drammatici come quello del bambino orfano, abbandonato e non amato?
d) Possono i bambini percepire in modo chiaro e consapevole il divario che c'è tra ciò che viene rappresentato sullo schermo e ciò che invece è realtà tridimensionale e quotidianità? 


SHIRLEY TEMPLE:

Shirley Temple nacque in California nel 1928. A quattro anni era già considerata una bambina prodigio dal momento che aveva assai precocemente dimostrato un eccezionale talento nel canto e nel ballo.  Era conosciuta da milioni di americani ed era soprannominata "riccioli d'oro".
Negli anni Trenta, Hollywood ha abusato dell'avvento del "Child Star", ovvero, del bambino che era inserito nel mondo del cinema e dello spettacolo e che collaborava soprattutto con adulti nella realizzazione degli shows televisivi.
Questo video è ambientato nel 1934. Shirley aveva soltanto sei anni e già si ritrovava ad abbandonare così presto la sua infanzia per comportarsi come un'attrice adulta.
Magari farà anche tenerezza vedere quella piccola fra gli adulti, però ricordate che non c'è nulla di spontaneo né in tutte le mosse che compie né in ciò che canta. La canzone è stata indubbiamente imparata a memoria e molto prima di andare in onda sono state fatte innumerevoli prove per  cancellare anche il più piccolo errore nel modo di ballare della bambina.



Vi pongo due domande:
Secondo voi la gioia e il sorriso di Shirley sono veri o fanno solo parte di una serie di atteggiamenti che è necessario adottare in uno spettacolino televisivo di questo genere? In parole povere: Shirley era davvero felice quando andava in scena?

"IL MONELLO"- CHAPLIN:

E' un film muto del 1921 scritto e interpretato da Chaplin.
Il protagonista è un bambino orfano e abbandonato nell'angolo di un quartiere degradato da una ragazza madre sola al mondo e senza alcun aiuto economico.
Charlot, un uomo povero e umile decide di adottare il neonato. Passano cinque anni e il bambino crede davvero che Chaplin sia suo padre.
Charlot esercita il mestiere di vetraio ambulante, professione che gli permette appena di sopravvivere, soprattutto con un bambino a carico.
Su richiesta del padre adottivo, il monello lancia dei sassi alle finestre delle case e poi, per non farsi scoprire dagli abitanti, corre via. Pochi istanti dopo Charlot, munito di vetri di ricambio, accorre in aiuto e ripara i danni.
Io qui vi propongo proprio la scena più drammatica del film, ma prima vi spiego che cosa succede in quel punto.
La ragazza madre di cinque anni prima è diventata una brava attrice ma è anche piena di rimorsi per aver abbandonato il figlio. Con determinazione allora fa pubblicare degli appelli sui giornali e contatta le forze di polizia.
Questo è il momento in cui dei poliziotti cercano brutalmente di separare il monello da Chaplin, subito dopo aver scoperto che qualche anno prima il vetraio aveva raccolto il bambino in fasce.


E' una scena da brividi, lo so. Però notate l'espressività ricercata di mani e braccia, sicuramente suggerita da adulti professionisti di tecniche cinematografiche. Jackie Coogan aveva soltanto sei anni quando è stato protagonista di questo film e, secondo il mio docente di storia e critica del cinema, in questo punto gli è stato chiesto di adottare un comportamento un po' pericoloso, ovvero quello di recitare la parte del bambino disperato e strappato con la forza dalle braccia di una persona che lo ha sempre amato.
Secondo me è abbastanza difficile pensare che la forte emotività di questa scena non abbia influito almeno per un determinato periodo sulla psiche di Jackie Coogan.

ROMA CITTÀ APERTA, ROSSELLINI:

E' un film che appartiene agli anni al periodo del Neorealismo (1943-1952). I registi neorealisti narrano nei loro film la povertà, il dolore e la stanchezza di popolazioni stremate dalla guerra  o comunque oppresse dalle autorità costituite che si dimostrano indifferenti e insensibili nei loro confronti. Il Neorealismo vuole rappresentare la dura realtà e la faticosa quotidianità del popolo.
Roberto Rossellini, come altri suoi colleghi neorealisti, sceglieva volentieri dei bambini e dei ragazzini come attori non professionisti, dal momento che i suoi film cercavano di cogliere l'immediatezza della realtà.
Questa è una scena che nei primi quattro minuti fa ridere, negli ultimi due invece fa piangere. C'è un forte contrasto di toni che è stato anche contestato da alcuni membri della critica. Il film è ambientato durante l'occupazione nazista.
Marcello, il bambino che vedete, subisce l'improvvisa perdita di entrambi i genitori: il padre viene arrestato dagli ufficiali nazisti e la madre viene uccisa mentre rincorre il furgone che si allontana piuttosto rapidamente, nel quale c'è anche suo marito.
E' struggente il punto in cui il bambino si getta sul corpo della madre abbracciandolo. L'attore nei panni di Marcello si chiamava Vito Annichiarico. E anche qui mi chiedo, come per Jackie Coogan: può una scena tragica come questa avere influito in modo significativo sui rapporti affettivi del bambino attore?



Un'altra scena significativa del film è proprio quella finale: dei ragazzini, tutti in età da catechismo, assistono al di là di una rete all' esecuzione capitale di Don Pietro da parte degli ufficiali della Gestapo.



La musica fa la sua parte nel rendere tragica la scena, questo è vero, ma prestate attenzione anche alle espressioni dei bambini: tristissime, sgomente. E tutti, nell'ultimo minuto del film si avviano lungo la strada, qualcuno cammina abbracciato ad un altro. Sono tutti sotto un cielo inasprito dai bombardamenti, vivono tutti in una splendida città vessata però dalla violenza e dalla paura.
Troveranno la forza di reagire dopo essere stati testimoni oculari di una morte violenta? Si spera di sì.
........................................................................................................................................................

L'ADOLESCENTE NEL CINEMA:

Io penso che anche la scelta di far recitare in un film adolescenti di età compresa tra i 12 e i 17 anni ponga almeno due questioni di carattere etico, abbastanza simili a quelle scritte poco sopra.

a) L'attività di attore all'interno di un film favorisce positivamente le relazioni tra adolescenti e adulti?
b) La recitazione e l'inizio della carriera cinematografica in giovanissima età è utile per la crescita morale e interiore di un adolescente che sogna in modo ottimistico il suo futuro?
c) Riesce l'adolescente attore a conservare i tratti più caratteristici della sua personalità quando si trova impegnato a recitare la parte di un personaggio che ha un'indole un po' diversa dalla sua?

"IL RICCIO"- GARANCE LE GUILLERMIC:

Molti di voi la conoscono! E' Garance Le Guillermic, la protagonista del film "Il riccio".
Io credo che a Garance sia stato chiesto di diventare in fretta una piccola donna con un film di questo genere, perché Palomà di per sé anagraficamente avrebbe 12 anni ma ragiona da adulta, si esprime come un'adulta, si pone delle questioni esistenziali che soltanto gli adulti (intendiamoci, gli adulti intelligenti) si pongono.



I QUATTROCENTO COLPI- TRUFFAULT:

Sono ormai trascorsi due anni dalla pubblicazione della mia recensione su questo film.
Ad ogni modo, anche il ruolo del ragazzino non amato è difficile da interpretare.



Antoine è stato spedito al riformatorio per niente! O meglio: non ha commesso nulla di grave; diciamo che ci è finito a causa della cattiveria degli adulti.
Anche qui tendo a pormi la stessa domanda che mi sono fatta per i due bambini sopra: come deve essersi sentito psicologicamente Jean Pierre Leaud a recitare il ruolo dell'adolescente non voluto dai genitori e maltrattato da tutti?
E' solo cinema, d'accordo. Però è un'esperienza attoriale che comunque è stata parte di lui e della sua reale esistenza.
Ma io, testarda come sono, mi chiedo: tenendo presente il fatto che questo film è ispirato alle tristissime vicende autobiografiche del regista Truffault, a Jean Pierre è mai saltato in mente di fargli una domanda assurda ed esasperata come questa: "Ma perché non reciti tu al posto mio la parte del povero incompreso, visto che da ragazzino lo sei effettivamente stato?"
Lo so, sarebbe stato impossibile farsi sostituire da Truffault, che nel 1958 era già un giovane uomo di 26 anni, pienamente realizzato nel campo del cinema. All'attore adolescente è mai sorta una domanda simile in momenti in cui magari non riusciva bene a rendere la condizione del ragazzo non amato?
L'adolescente ha solitamente un gran bisogno dell'approvazione e del sostegno degli adulti, soprattutto di quelli che compongono la famiglia in cui vive.
Fare la parte del ragazzo non capito è molto rischioso, anche se questa condizione si limita alla sola sfera cinematografica.  Jean Pierre Leaud aveva 15 anni quando ha recitato come protagonista in questo film.

"A TESTA ALTA"- MALONY:

E' un film francese del 2015. L'attore interpreta la parte del piccolo delinquente che ruba auto, guida senza patente e non va quasi mai a scuola.
Malony, il protagonista del film, è figlio di una ragazza madre tossico-dipendente ed è stato cresciuto da lei senza ricevere un'educazione civile e dei valori.
Ed ecco il risultato:



Io credo che anche qui alcune pose e alcuni atteggiamenti siano stati suggeriti, magari dal regista.
Ad ogni modo, anche in questo caso l'adolescente attore è stato davvero bravo a calarsi nel ruolo dell'adolescente ingestibile e senza regole.





16 febbraio 2017

In memoria di alcune vittime di mafia:

In questo post vengono delineate le biografie, corredate anche da commenti, di due siciliani che hanno cercato di risvegliare le coscienze dei loro concittadini per liberare le loro terre oppresse dall'ingiustizia e dalla corruzione mafiosa.
 


 

GIORGIO BORIS GIULIANO: 



Giorgio Boris Giuliano era nato a Piazza Armerina in provincia di Enna nel 1930. Figlio di un ufficiale della marina militare, aveva trascorso alcuni anni della sua infanzia in Libia, luogo in cui il padre lavorava.
 Nel 1941 la famiglia si era trasferita a Messina, città in cui Giorgio aveva conseguito la laurea in Giurisprudenza.
 Nel 1962, dopo aver vinto il concorso per divenire commissario della polizia, era stato assegnato alla Sezione Omicidi della Squadra Mobile di Palermo. Durante gli anni Settanta aveva ottenuto anche una specializzazione presso la FBI National Academy.
 Boris Giuliano aveva intuito che in quegli anni Cosa Nostra stava organizzando un traffico di droga internazionale nel quale la città di Palermo avrebbe dovuto fungere da snodo centrale tra i Paesi dell'Est e gli Stati Uniti. Con grande zelo e determinazione conduceva le sue inchieste, sperando di riuscire a indebolire l'enorme potere di una cosca mafiosa. 
Ma il 21 luglio 1979, mentre stava pagando il caffè in una pasticceria di Palermo, il criminale Leoluca Bagarella lo aveva ucciso con sette colpi di pistola.
 Giorgio Boris lasciava vedova una moglie e orfani tre figli, tutti ancora bambini. 
Il primogenito Alessandro aveva soltanto 12 anni nel '79. Profondamente scosso da questa grande tragedia, una volta divenuto adulto ha intrapreso la carriera investigativa. E' ora vicequestore a Lucca, in Toscana.

Riporto qui sotto alcune parole di Alessandro Giuliano riferite al padre: 
 


"Mio padre Boris Giuliano è sempre stato vicino agli ultimi, senza essere un sacerdote. Quando in questura a Palermo arrivava un bambino povero che si era perso, lo portava sempre a casa nostra. Invece di lasciarlo aspettare negli uffici freddi in mezzo ai calcinacci, come era prassi fare in quegli anni, lo accompagnava da noi. Suonava il campanello e lo presentava a me e alle mie sorelle. Così, per confortarlo. Aveva una profonda e rara umanità. Ha trasmesso un potente messaggio, a me e ai miei colleghi: bisogna fare il proprio dovere fino in fondo e si può essere poliziotti senza dimenticarsi di essere uomini."

 



Nel 1995, al processo per l'omicidio, sono stati condannati all'ergastolo sia Leoluca Bagarella, come esecutore materiale del delitto, sia i suoi mandanti, ovvero: Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Giuseppe Calò e Nené Geraci.




"Ciò che per la mia famiglia conta è che il suo sacrificio e quello di tanti altri servitori dello Stato non venga mai dimenticato."
 
Alessandro ripete spesso questa frase alla fine delle interviste. 




Paolo Borsellino ha commentato in questo modo gli omicidi avvenuti per mano mafiosa, con particolare riferimento alla vicenda di questo valoroso poliziotto: 




"Se gli organismi statali avessero assecondato l’intelligente impegno investigativo di Boris Giuliano, probabilmente le strutture organizzative della mafia non sarebbero così enormemente potenziate e molti efferati assassinii, compreso quello dello stesso Giuliano, non sarebbero stati consumati”. 


Avere il fegato di uccidere un padre premuroso con i suoi tre figli e privare una donna del marito con sette spietati colpi di pistola denota una malvagità sconvolgente, frutto degli atteggiamenti arroganti e spregiudicati di una mafia che fino all'inizio degli anni Novanta godeva purtroppo di uno strapotere incredibile. La storia di Boris Giuliano fa venire i brividi. Ma questa tragica vicenda deve risvegliare, soprattutto in noi giovani, i valori della giustizia, della verità e dell'onestà che quel vicequestore ha cercato di difendere. La memoria delle vittime di mafia è indispensabile per poter costruire un futuro migliore per il nostro Paese. La mafia si combatte con l'indignazione di fronte alle iniquità, con la fortezza d'animo e con la conoscenza. Non certo con l'ignoranza! E anche e soprattutto cercando di comportarsi sempre in modo corretto e leale verso gli altri, partendo dalle piccole azioni quotidiane di ogni giorno.



 

ROSARIO LIVATINO:

Parto da un breve video nel quale si racconta il modo in cui il magistrato è stato ucciso.





Rosario Livatino era nato a Canicattì (Agrigento) nel 1952. Dopo aver conseguito la maturità classica, nel 1971 si era

iscritto alla facoltà di giurisprudenza di Palermo. Laureato con il massimo dei voti, nel 1978 aveva vinto il concorso per divenire magistrato e aveva iniziato a lavorare presso il Tribunale di Caltanissetta. Un anno dopo però si era trasferito al tribunale di Agrigento.

E' stato assassinato il 21 settembre 1990 mentre si recava con la sua auto in Tribunale. I suoi quattro assassini erano membri della Stidda agrigentina, organizzazione criminale rivale di Cosa Nostra.

 Alcuni mesi dopo la sua morte, l'allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga definì "giudici ragazzini" tutti i magistrati poco più che trentenni impegnati nella lotta alla mafia. 
Devo precisare che aveva utilizzato parole ingiustamente sprezzanti. Eccovele: 

 


"Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre indagini complesse contro la mafia e il traffico di droga. Questa è un’autentica sciocchezza! A questo ragazzino io non affiderei nemmeno l’amministrazione di una casa terrena."
 


Ecco com'erano negli anni Novanta (e come sono sempre stati purtroppo!) i politici italiani: ingrati verso i cittadini che si preoccupavano di difendere la legalità, insensibili di fronte alle morti premature e violente delle vittime di mafia e spesso conniventi con i ceppi criminali.

 Papa Giovanni Paolo II aveva ricordato Livatino come: "un martire della giustizia e indirettamente della fede".  

Nel 2011 è stato firmato dal vescovo di Agrigento il decreto per l'avvio del processo di beatificazione. 
Le testimonianze per il processo di beatificazione sono state raccolte da Ida Abate, una sua insegnante, la signora anziana che potete vedere nel video sotto riportato.








Nel 2014, nell'udienza al Consiglio Superiore della Magistratura, Papa Francesco ha ricordato così il giudice Livatino: "Fu un giudice leale alle istituzioni, aperto al dialogo, fermo e coraggioso nel difendere la giustizia e la dignità della persona umana."


Bello, chiaro e incisivo è anche il recente commento di Don Tonio Dell'Olio, sacerdote molto attento ai temi di legalità e giustizia sociale, originario di un paesino pugliese.

 


"Rosario Livatino era uno di quei magistrati di poche parole. Poche apparizioni, poche interviste, niente salotti buoni. Per lui parlavano le inchieste scottanti che portava avanti, l'acume investigativo, zero compromessi. Per quanto possa sembrare strano, l'ostilità gli venne non solo e comprensibilmente dagli ambienti malavitosi ma anche dalle istituzioni che avrebbero dovuto sostenerlo e proteggerlo. A distanza di quasi 27 anni (venne ucciso nel settembre del 1990), la vita discreta di questo giovane resta un riferimento illuminante su metodo e sostanza dell'agire per la giustizia. Ma anche una testimonianza di vita e di fede. Ucciso quando aveva 38 anni, Rosario Livatino ha vissuto il suo impegno professionale come dovere civico e morale. Ed è un vero peccato che in molti si siano accorti solo dopo del suo alto valore. La vicenda di Livatino deve farci aprire gli occhi sull'oggi. E' una provocazione per i nostri comportamenti e i giudizi fin troppo sbrigativi che scarichiamo su situazioni e persone. Che Rosario Livatino ci contamini almeno un po' con il suo rigore, con la sua inflessibilità e con la sua testimonianza di fede. Ho ragione di credere che molti dei problemi che ci troviamo ad affrontare oggi, altro non sono che la somma di tanti piccoli compromessi, quasi impercettibili, trascurabili, che abbiamo collezionato nel corso del tempo. Fiocchi di neve che diventano slavina." 

2 febbraio 2017

Gli orrori del nazismo:


Da pochissimo è passata la giornata della memoria. Io stessa su questo blog ho cercato di valorizzare il settataduesimo anniversario del giorno in cui alcuni soldati sovietici aprirono i cancelli di Auschwitz e, nel liberare coloro che vi erano internati, scoprirono gli orrori hitleriani.
Si deve continuare a ricordare il 27 gennaio 1945. Bisogna educare le nuove generazioni (intendo i ragazzini di 11-12 anni) a rispettare le differenze culturali e religiose, che sono la forza e la bellezza di questo mondo. Bisogna stimolarli a riflettere sull'odio razziale che nel secolo scorso ha prodotto guerre, violenze e stermini di massa.
Ero in prima media. Ricordo bene che, nella mattina del 27 gennaio, la nostra insegnante di scienze motorie (grande donna molto autorevole!) aveva fatto, di fronte a circa 60 alunni tutti raggruppati in un'aula, una bella riflessione sul genocidio ebraico. Dopodiché ci aveva imposto un minuto di silenzio. Alla fine di questo, aveva detto: "E' molto lungo un minuto trascorso da fermi, senza dire una parola. Ma in questo minuto si pensa e intanto immaginiamo le sofferenze delle vittime della shoah nei campi di concentramento e nelle camere a gas".
Era riuscita a farci stare in perfetto silenzio! Incredibile!

Qui presento brevemente altri due film che, a mio avviso, delineano molto bene il clima di terrore della Germania nel corso della Seconda Guerra Mondiale.

A) LETTERE DA BERLINO:

E' un film molto recente. I protagonisti sono due coniugi, Anna e Otto Quangel. Otto è un capo officina, professione che gli permette di vivere dignitosamente in un semplice e piccolo appartamento di Berlino. E' il 1940, anno in cui gli eserciti di Hitler dichiarano guerra sia alla Francia sia al Regno Unito con la speranza di iniziare a realizzare il sogno di conquistare il mondo.
I due coniugi, distrutti dal dolore a causa di una lettera che annuncia loro la morte in battaglia del figlio Hans, decidono di diffondere per tutta la città delle cartoline che criticano aspramente il nazismo e che inneggiano alla libertà di stampa, di parola e di pensiero.
L'idea è di Otto, ma Anna diviene presto la sua fedele complice.
Per circa tre anni riescono a portare avanti questo coraggioso atto di ribellione. Fino al momento in cui vengono arrestati dai membri della Gestapo, processati e infine giustiziati.
Una domanda che, almeno a me, è sorta spontanea: "I nazisti volevano fermamente realizzare il loro desiderio di conquista del mondo. Dunque, se a causa della loro perversa brama di potere erano così impegnati in politica estera, perché dovevano trovare anche il tempo di cercare l'autore di piccole cartoline contenenti messaggi di rivolta contro la loro dittatura?"
Facile! Alfieri docet. Vittorio Alfieri, aristocratico piemontese vissuto nella seconda metà del Settecento, oltre a scrivere un'autobiografia, diverse tragedie e alcuni sonetti, ci ha lasciato un trattato interessante intitolato: "Della tirannide". Nella prima parte, l'autore afferma che un governo autoritario e dispotico genera certamente paura nel popolo sottomesso ma anche nell'animo del tiranno stesso, il quale, nell'imporre il suo potere con la violenza, teme continuamente delle congiure e delle ribellioni. Per questo la delazione, in uno stato retto da una dittatura, diviene addirittura un dovere civico. Devo però precisare che Alfieri non è mai stato un pensatore politico: in quel trattato c'è infatti tutta una simbologia che paragona il tiranno al male nel mondo e la tirannide a tutto ciò che accende l'angoscia di vivere nell'uomo.

Significative a mio avviso sono state le frasi che Otto aveva scritto nella prima cartolina: "Madre, Hitler ha ucciso mio figlio. Madre, egli ucciderà anche il tuo!"
In queste due esclamazioni sta il senso del suo progetto: un padre che ha perduto il suo unico figlio in guerra sente un gran vuoto dentro di sé e un'enorme delusione verso il governo del suo paese. La sua vita è divenuta insignificante e insapore, al punto tale che egli mette in atto un'intelligente strategia di rivolta, anche se sa che prima o poi questa strategia lo porterà alla morte.

Vi lascio il trailer. Se vi ispira, forse su Torrent c'è già il file scaricabile ma non ne sono sicura:



B) LA ROSA BIANCA:
Sophie Scholl a 20  anni

Probabilmente molti di voi lo conoscono già o comunque lo hanno visto una volta.
Anche questo film è ambientato nella Germania nazista.
I protagonisti sono tre giovani, ovvero, i fratelli Sophie e Hans Scholl e il loro amico Christoph Probst. Sono membri della "Rosa Bianca", organizzazione di studenti cristiani che cercavano di contrastare con la non violenza il regime nazista. L'associazione morì all'inizio del 1943, quando tutti i suoi membri vennero arrestati e decapitati.
I tre ragazzi, studenti universitari a Monaco, decidono di distribuire dei volantini anti-nazisti in ambiente accademico, ma vengono immediatamente arrestati mentre li lanciano da un balcone.
La maggior parte della pellicola narra i loro ultimi giorni di vita, ovvero, il breve periodo trascorso in carcere, gli interrogatori della polizia, il processo e l'esecuzione.
Il film si concentra però soprattutto sulla ragazza, Sophie Magdalena Scholl.
Sophie studiava Lettere all'università di Monaco. Aveva soltanto 21 anni quando è stata ghigliottinata.

Vi metto la scena del processo perché vale proprio la pena che la vediate/rivediate.
Il giudice è un convinto nazista.


Come dicevo sopra, il giudice chiamato a decidere la tragica sorte dei tre giovani è un convinto nazista. E' indemoniato: urla, sbraita e talvolta non permette alla ragazza di finire le frasi, umiliandola anche con ingiuste parole di rimprovero.
Notate un particolare puramente tecnico (da quando seguo il corso di storia del cinema all'università  sto attenta anche a cose di questo genere): la ragazza è nitidamente inquadrata in primo piano dalla cinepresa. Gli ufficiali presenti al processo che stanno dietro di lei invece sono sfuocati. Questo perché il regista vuole mettere ben in evidenza la profondità morale della protagonista e i valori nei quali lei ha sempre creduto: la pace, il rispetto tra i popoli, la misericordia di Dio.
Lei, Sophie, è una giovanissima ragazza che in quel momento difende le sue idee in un tribunale, mentre alle sue spalle stanno degli ufficiali tutti conformati all'ideologia hitleriana, incapaci di senso critico.
Abbastanza straziante è poi il punto in cui i genitori dei due ragazzi entrano in aula per poter difendere i loro figli ma vengono respinti sia dal magistrato sia dai soldati che li trascinano fuori.

"Senza Hitler e il suo partito avremmo ancora giustizia e ordine. Hitler ci ha trascinato in una guerra sanguinaria dove ogni singola vittima muore invano. (...) Io seguo la mia coscienza. Sono rimasta sconvolta quando ho scoperto che i nazionalsocialisti uccidono i bambini ritardati con il gas e con il veleno!  In nessuna circostanza ci si può arrogare il diritto di un giudizio che spetta soltanto a Nostro Signore. Nessuno sa cosa accade nell'anima di un ritardato, come nessuno sa quanta saggezza può derivare dalla sofferenza. Ogni singola vita è preziosa." 

(Sophie Scholl durante un interrogatorio)


Programma del blog da qui fino alla fine dell'inverno:

Ho dato due esami la settimana scorsa e ho ottenuto voti molto alti che mi mantengono la media maggiore del 27. Ne porto altri due nei prossimi giorni e poi, a partire dal 16 febbraio, pubblicherò un articolo dedicato alle vittime di mafia, la recensione del film "Wild" e l'intrigante questione della figura del bambino nel cinema.
In occasione del giorno 8 marzo, scriverò di Euripide, tragediografo greco che aveva inserito come protagoniste delle sue opere delle figure femminili forti, determinate e passionali.