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24 marzo 2017

Il tema del viaggio nella storia della letteratura italiana:


Continuo il mio excursus letterario iniziato esattamente una settimana fa.
In questo post però ci sono soprattutto esempi significativi e interessanti di viaggi raccontati in alcune opere della letteratura italiana.


1) MARCO POLO E "IL MILIONE":

Dunque, partiamo dal Duecento e quindi da un secolo che appartiene ancora al Medioevo. 
Sabato scorso ho scritto che la latinità medievale, profondamente influenzata dai principi del cristianesimo, interpretava il concetto di viaggio come un percorso mirato alla conquista del regno celeste attraverso le fatiche e i dolori della vita. In alcune opere tra l'altro, gli elementi fantastici e quelli biblici si fondono con entità reali.
Bene, nel Basso Medioevo (secoli X°-XIV°) si sviluppano le città, le tecniche agricole e le attività commerciali, incentivate dalla nascente borghesia. Grazie a questi importanti eventi storico-sociali, il tema del viaggio inizia ad assumere anche un valore laico e urbano, che lo lega indubbiamente allo stile di vita condotto dai ceti mercantili, costituiti da intraprendenti viaggiatori. 
Il "Milione" di Marco Polo è una lunga, ampia e particolareggiata relazione su un viaggio che è sia esplorazione sia conoscenza di una terra lontana e affascinante agli occhi di diversi medievali: l'Oriente! 
Il "Milione" è ampiamente documentato; si descrivono itinerari, soste, località, usi e costumi delle popolazioni, l'economia di un paese e la sua organizzazione amministrativa, la misurazione delle distanze. 
Scrive Hermann Grosser in "Il canone letterario, Duecento e Trecento": 
"... procedendo da Occidente verso Oriente, Marco portava con sé non solo il desiderio di scoprire e di esplorare terre nuove e incognite, ma anche un repertorio di favole, di leggende, di utopie che si erano inestricabilmente legate, nel corso dei secoli, all'idea che l'Occidente si era fatto dell'Oriente.
Così non mancano le descrizioni di uomini con la coda (le scimmie) o il racconto di voci misteriose che sorprendono quanti si avventurano di notte nel deserto di Lop." 

Tuttavia, la curiosità è più forte della meraviglia, perché: "Non poche volte Marco sa dare spiegazioni corrette di fenomeni solo apparentemente meravigliosi, come quando descrive una miniera di pietre nere che ardono come bucce, ovvero, come legni secchi" (H. Grosser).

 A questo proposito, Luigi Foscolo Benedetto, primo studioso moderno di questo trattato, ha scritto che appare sicuramente evidente la capacità del narratore protagonista di ammirare le caratteristiche delle nuove terre e di rimanere affascinato da ciò che non conosce: "(...) è un'esaltazione dell'Asia. Da un capo all'altro esso risuona di esclamazioni. I superlativi vi sono prodigati. Si sente che il vero argomento del libro non è la semplice cognizione inattesa ma l'entusiasmo, quello che vi strappa un grido di ammirazione felice. Marco ha slanci d'entusiasmo per tutto ciò che è bello, perfetto, raro."

Probabilmente il "Milione" non è un libro di un mercante destinato ad essere letto da altri mercanti, ma il trattato di un uomo che viaggia spinto dalla curiosità di conoscere nuovi luoghi inesplorati per poter poi riferire ciò che ha osservato.



2) I MERCANTI ARABI DEL MEDIOEVO:

Anche i mercanti arabi viaggiavano per mare e narravano volentieri e in modo curioso le loro avventure! Anche per questi esploratori per cui "le meraviglie del mare sono innumerevoli", lo spirito di osservazione realistica e la deformazione fantastica si fondono.
Eccovi alcuni esempi tratti dal volume: "Le isole mirabili: periplo arabo medievale" di Angelo Arioli, studioso di letteratura araba.

"VII, c L'isola delle fanciulle: Fra le isole Waq Waq vi è l' Isola delle Fanciulle ove stanno creature dai corpi nudi, di colorito bianco e di bella figura che si rifugiano sulle cime degli alberi. Cacciano le genti, poi le mangiano.
(...)
XI. Isola Mobile: E v'è un'isola con case e cupole bianche che appaiono e prendono forma agli occhi dei marinai che subito anelano giungervi. Ma più si avvicinano più quella si allontana, e insistono finché disperati non volgono altrove.
(...)
XLVIII. L'Isola dei Bud: Costoro hanno ali, capelli e sottili proboscidi. Camminano su due e su quattro piedi, volano o tornano all'isola."


3) DANTE E LA "DIVINA COMMEDIA":

Dante, autore vissuto a cavallo tra Duecento e Trecento, elabora un'opera maestosa, la "Commedia", definita poi con il famoso aggettivo "divina", proveniente dall'entusiastico giudizio che Giovanni Boccaccio ha dato a questo capolavoro italiano.
La "Commedia" è un viaggio verso Dio, il Sommo Bene, compiuto attraversando tutti e tre i regni dell'oltretomba: Inferno, Purgatorio e Paradiso, che tra l'altro costituiscono le tre cantiche di cui è composto il poema. 
Il viaggio di Dante inizia nella selva oscura, metafora dello smarrimento e del peccato per poi concludersi nell'ascesa al Paradiso Celeste, che configura anche un'ascesa morale dell'autore-protagonista. Scrive H. Grosser nel mio manuale: "Una fortissima tensione lineare verso, l'alto, gotica si potrebbe dire, caratterizza la Commedia."
Sapete che Ulisse è collocato all'Inferno, nel XXVI° canto, tra i fraudolenti? Dante lo colloca in una bolgia infernale circondata da fiamme di fuoco per vari motivi, tutti scaturiti dal repertorio della classicità: l'inganno del cavallo, l'abbandono della famiglia per appagare la sua sete di conoscenza e il suo ardente desiderio di gloria, il superamento delle colonne d'Ercole (azione arrogante e oltraggiosa nei confronti degli dei). 
Ma è proprio così negativo Ulisse? A chi dobbiamo dar ragione, a Dante, che ne evidenzia in modo intransigente i difetti, oppure agli studiosi dell'Odissea o meglio, all'Odissea stessa che sembra illustrare un eroe sinceramente legato alla patria e alla famiglia? Domanda facilmente risolvibile: Dante era figlio del suo tempo, del Medioevo che esige che tutto si spieghi con Dio e non possa dunque trovare altra spiegazione se non in Dio stesso. Ulisse è il prodotto di una cultura pagana, attenta però agli affetti, ed è proprio questo che mi piace molto del secondo poema omerico. 
Dante però si confronta con Ulisse in questo canto: egli infatti si specchia nell'eroe greco per l'umana sete di conoscenza ma gli si contrappone, perché il suo viaggio nell'oltretomba è dotato di una natura provvidenziale. Per Dante, Enea è molto diverso da Ulisse: l'eroe troiano è un esule alla ricerca di una nuova terra, è un uomo molto legato ai doveri, e, secondo i medievali, al corretto uso della ragione.

Riporto qui sotto un'osservazione scritta sempre sul mio volume di liceo di letteratura italiana: 
"Il viaggio è il motivo centrale della Commedia. Ma esso si compie qui e altrove, ora e dopo, oppure ora e prima. Ogni figura è fissata in un tempo doppio: mortale ed eterno. Ogni gesto, ogni battuta, ogni discorso non sono opera del caso ma rientrano in un piano teologico e provvidenziale:inchiodate alla loro verità,  le figure dell'opera ruotano intorno al personaggio Dante, che con l'aiuto delle guide deve interpretarne i segni, il senso. "

Il mio amico Luca mi aveva segnalato una sinfonia composta da Listz e intitolata: "Sinfonia Dante". 
Ho caricato i primi venti minuti, relativi alla connotazione dell'Inferno. Sentite tra quei veementi accordi l'impetuoso scorrere dell'Acheronte, fiume di sangue, sentite i latrati di Cerbero, la rabbia di Caronte che percuote con un remo le anime? Sentite il brulicare dei diavoli della città di Dite, le sofferenze nell'oscura selva dei suicidi? Io sì! 

Listz-"Inferno", parte prima della "Sinfonia Dante".



4)BOCCACCIO- IL DECAMERON:

Perdonate il titolo generico di questo paragrafo. Ad ogni modo, con lo sviluppo della novellistica, compare nuovamente l'intraprendenza del ceto mercantile, come nella novella intitolata: "Andreuccio da Perugia". Il soprannaturale scompare radicalmente però, per lasciar spazio a descrizioni realistiche dei contesti sociali e dei luoghi.

Il protagonista di questa vicenda è Andreuccio,  un “cozzone” (cioè, un mercante) di cavalli assai giovane ed ingenuo, che, giunto a Napoli per concludere dei buoni affari, fa sfoggio della sua ricchezza sulla piazza del mercato. E' così che viene notato da Fiordaliso, una prostituta siciliana che architetta uno stratagemma per derubarlo: dopo aver visto il giovane salutare con trasporto un'anziana donna, anch'essa siciliana, chiede a quest'ultima notizie sul giovane, per poi fingersi sua sorella, figlia di un’amante conosciuta dal padre durante un viaggio nell'isola.
La giovane donna adesca allora il mercante perugino con calorosi abbracci e lo invita poi a casa sua per una cena, nella contrada Malpertugio, un quartiere malfamato di Napoli. Andreuccio cede poi all'insistente richiesta di Fiordaliso di fermarsi a riposare in una camera della casa.
Spogliatosi dei suoi vestiti e della bisaccia contenente i denari, Andreuccio si reca nella latrina, dove si trova un'asse schiodata. Il protagonista vi scivola dentro, senza però subire danni fisici dalla caduta nella fogna, mentre nella stanza la donna si impadronisce dei denari.
In quella notte trascorsa all'aperto, Andreuccio incontra due ladri e con loro si reca presso la tomba dell'arcivescovo che è stato sepolto con una grande quantità di oro che gli apparteneva in vita.
Andreuccio, che accetta di partecipare al furto, viene allora calato in un pozzo vicino alla chiesa e abbandonato dai due delinquenti che fuggono anche a causa dell'arrivo di due guardie.
Queste, assetate, tirano verso l'alto la corda a cui era appeso il secchio e alla vista del giovane fuggono terrorizzati.
Andreuccio incontra nuovamente i ladri, cui racconta il proprio "salvataggio" e con cui attua di nuovo il furto. Scoperchiata la tomba in marmo dell’arcivescovo, i due criminali obbligano il giovane a introdursi nel sepolcro e a consegnare loro gli oggetti preziosi. Andreuccio, capendo che i ladri vogliono nuovamente abbandonarlo, una volta consegnate tutte le reliquie, tiene per sé un anello.
I due chiudono poi nella tomba il giovane mercante e se ne vanno.
Mentre Andreuccio è all'interno della tomba e molto angosciato a causa delle proprie disavventure, sopraggiunge un prete che, dopo aver aperto l'arca, prova a calarsi all'interno. Tuttavia Andreuccio, cogliendo l'occasione propizia per poter uscire, gli afferra la gamba, terrorizzandolo e facendolo scappare.
Finalmente libero, il protagonista esce dalla cripta e ritorna a Perugia, con l’anello dell’arcivescovo.

Qui una città diviene il teatro di una vicenda avventurosa. Prima della sua travagliata avventura a Napoli Andreuccio non era mai uscito da Perugia e in effetti, non abituato ad osservare bene le caratteristiche di un ambiente, egli non comprende che in una città grande e già allora trafficata come Napoli non si possono ostentare ricchezze in pieno mercato, perché è molto facile essere poi soggetti agli inganni di qualche astuta cortigiana senza scrupoli!!
Andreuccio è sì ingenuo ma soprattutto incauto, sprovveduto, è talmente preso dall'entusiasmo di operare per un breve periodo in questa nuova città che si rivela incapace di valutarne le insidie.



5) RENZO A MILANO:

Ve la sentite di fare un salto temporale di cinque secoli? Soltanto per pochi minuti.
Ritorniamo al romanzo di Manzoni. Nei capitoli XII- XVII sono narrate le vicende di Renzo a Milano.
Anche Renzo qui appare come un giovane sprovveduto, perché per la prima volta esce dal suo territorio natale e dal suo paesino, costretto non dal lavoro ma dalla prepotenza e dal capriccio di Don Rodrigo, nobilotto degenere di un villaggio collocato nel territorio di Lecco.
Il capitolo XII° è tutto dedicato alla spiegazione delle cause storiche che riguardano il tumulto di San Martino (11 novembre 1628), che aveva visto da parte del popolo l'assalto ai forni.
Alla fine di quella giornata di tumulti, Renzo l'incauto si unisce a un gruppo di rivoltosi per gridare in piazza la sua indignazione contro i nobili ingiusti e prepotenti che non agiscono secondo i principi evangelici: "Bisogna che il mondo vada un po' più da cristiani (...) Non è vero, signori miei, che c'è una mano di tiranni che fanno proprio al rovescio dei dieci comandamenti e vanno a cercar la gente quieta, che non pensa a loro, per fargli ogni male e poi hanno sempre ragione?".
Un informatore della polizia, dopo averlo ascoltato, lo accompagna in un'osteria e qui Renzo dà il peggio di sé: si ubriaca e acclama con incredibile ingenuità i principi della giustizia sociale con un evidente disprezzo verso governanti, aristocrazia, avvocati e uomini politici.
Viene scambiato per uno dei capi della rivolta.
In effetti ricorderete piuttosto bene che il mattino seguente viene arrestato. E' il 12 novembre 1628. Mentre i poliziotti lo trascinano in piazza, egli, approfittando dell'accalcarsi della folla ne approfitta per dire: "Figliuoli, mi menano in prigione perché ieri ho gridato pane e giustizia".
E così riesce a scampare all'impiccagione. Questa è la prima di una serie di azioni intelligenti compiute da Renzo in quella giornata.
Il giovane attraversa il territorio di Milano per poter raggiungere le sponde dell'Adda e il territorio di Bergamo, ma, per non destare sospetti, ai passanti non chiede mai dove si trova Bergamo, ma chiede come fare per raggiungere paesi vicini.
Di notte raggiunge le rive dell'Adda. Rileggetevi l'inizio del capitolo XVII°, mette i brividi perché sembra proprio di vederlo Renzo, mentre corre ed è stanco e ha paura di essere scoperto e arrestato.
Secondo Salvatore Silvano Nigro, Renzo appare un po' come Robinson Crusoe, il self-made man, in questo punto:

"Gli venne in mente di aver veduto, in uno dei campi più vicini alla sodaglia, una di quelle capanne ricoperte di paglia, costruite di tronchi e di rami, intonacati poi con la mota, dove i contadini del milanese usan, d'estate, depositar la raccolta e ripararsi la notte (...)  La disegnò subito per il suo albergo: si rimise sul sentiero, ripassò il bosco, le macchie, la sodaglia e andò verso la capanna (...) Vide in terra un po' di paglia e pensò che anche lì, una dormitina sarebbe ben saporita."

Anche qui, dall'esperienza di una disavventura, scaturisce una maturazione psicologica che aiuta uno dei protagonisti del romanzo a scampare alla morte ma anche a raggiungere un luogo sicuro dove poter abitare per un po' (la casa del cugino Bortolo a Bergamo).







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