Visualizzazioni totali

27 novembre 2017

Davvero la letteratura italiana, nei suoi circa 800 anni di storia, è di carattere maschilista?

Davvero l'ultimo trattato della Murgia sulla questione femminile potrebbe essere stato scritto da una quattordicenne. L'estremismo nelle opinioni e l'assemblaggio confuso di questioni completamente diverse tra loro, come il femminicidio e l'aborto, lasciamoli ai quattordicenni! Loro possono ancora permettersi di non avere equilibrio nel valutare la realtà, perché devono crescere e devono maturare.
Comunque, oltre all'ingiusta e ingiustificata critica che lei muove alle cattoliche, c'è anche un'altra sua constatazione che mi ha infastidita: considerare la letteratura italiana come un prodotto culturale addirittura nocivo per la società contemporanea.
Non sto esagerando. La scrittrice afferma che la nostra letteratura, nell'illustrare e nel descrivere le morti di numerosi personaggi femminili, esalti lo spirito degli uomini che le uccidono.
A questo proposito cita un episodio della "Gerusalemme Liberata" di Torquato Tasso, ovvero, il combattimento tra Tancredi e Clorinda.

Ne riporta poi alcuni versi:
"Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
che vi s'immerge e 'l sangue avido beve;
e la veste, che d'or vago trapunta
le mammelle stringea tenera e leve,
l'empie d'un caldo fiume. Ella già sente
morirsi, e 'l piè le manca egro e languente."
eriparole.it/poesie/poesie-d-autore/poesia-1937Di questa mezza strofa dà un'interpretazione decisamente assurda: "Molti di quegli artisti hanno accompagnato la nostra educazione sentimentale e culturale mostrandoci non già lo strazio della morta, ma la nobiltà di chi l'ha uccisa."

Ma non poteva farsi spiegare quel passo da persone competenti, che hanno studiato o stanno studiando testi letterari per realizzare il loro sogno di poterli trasmettere?
Ma non sa che le donne guerriere sono sempre esistite in letteratura, e che quindi Clorinda non è l'unica? Ci sono le Amazzoni della Grecia Arcaica, c'è Camilla nell'Eneide, c'è Bradamante nel poema di Ariosto, Marfisa nell'Orlando Innamorato di Boiardo.

Più o meno ve lo ricordate questo episodio?!
Ve lo riassumo in modo semplice: Tancredi appartiene all'esercito cristiano, Clorinda invece è una donna saracena, travestita da guerriero.
Tancredi ne è segretamente innamorato.
Durante il duello non la riconosce, dal momento che anche lei indossa l'elmo. Non la riconosce, quindi non la uccide di proposito!
Questo è un episodio drammatico, elegiaco in cui amante e donna amata si scontrano inconsapevolmente.

Dopo averla trafitta, Tancredi, con suo grande dolore, la riconosce, dal momento che le toglie l'elmo.

Questo è il seguito del canto:

" Segue egli la vittoria, e la trafitta
vergine minacciando incalza e preme.
Ella, mentre cadea, la voce afflitta
movendo, disse le parole estreme;
parole ch'a lei novo un spirto ditta,
spirto di fé, di carità, di speme:
virtù ch'or Dio le infonde, e se rubella
in vita fu, la vuole in morte ancella.

- Amico, hai vinto: io ti perdon... perdona
tu ancora, al corpo no, che nulla pave,
a l'alma sì; deh! Per lei prega, e dona
battesmo a me ch'ogni mia colpa lave. -
In queste voci languide risuona
un non so che di flebile e soave
ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,
e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza.

Poco quindi lontan nel sen del monte
scaturia mormorando un picciol rio.
Egli v'accorse e l'elmo empié nel fonte,
e tornò mesto al grande ufficio e pio.
Tremar sentì la man, mentre la fronte
non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
La vide, la conobbe, e restò senza
e voce e moto. Ahi vista! Ahi conoscenza!

Non morì già, ché sue virtuti accolse
tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,
e premendo il suo affanno a dar si volse
vita con l'acqua a chi co 'l ferro uccise.
Mentre egli il suon dè sacri detti sciolse,
colei di gioia trasmutossi, e rise;
e in atto di morir lieto e vivace,
dir parea: "S'apre il cielo; io vado in pace. "

D'un bel pallore ha il bianco volto asperso,
come à gigli sarian miste viole,
e gli occhi al cielo affisa, e in lei converso
sembra per la pietate il cielo e 'l sole;
e la man nuda e fredda alzando verso
il cavaliero in vece di parole
gli dà pegno di pace. In questa forma
passa la bella donna, e par che dorma."

Per Letteratura Italiana I avevo letto una parte consistente del poema di Tasso e l'analisi di questa parte me la ricordo ancora benone (peccato che non me l'abbia chiesta! Nessuna domanda su Tasso, purtroppo).
Non si tratta certo dell'esaltazione di un Tancredi omicida!
E, se l'autrice estremista permette, lo strazio e il dolore degli ultimi istanti di Clorinda c'è eccome!
Il valente Tancredi uccide l'amata ma, nel momento in cui se ne rende conto, non è né nobile né glorioso.
 E' sconvolto.
"La vide, la conobbe, e restò senza/voce e moto. Ahi vista! Ahi conoscenza!" 
 Tancredi è annichilito e impietrito.
Che accade nell'animo di Tancredi nel momento in cui le toglie l'elmo??
In una frazione di secondo, si affollano stupore, dolore, rimorso, disperazione e commozione per la richiesta di farsi battezzare.

Pensate ora a dei riferimenti cronologici. La Gerusalemme Liberata è stata scritta nel secondo Cinquecento ed è ambientata negli ultimissimi anni del XI° secolo, per il fatto che narra i combattimenti della prima crociata per la liberazione del Santo Sepolcro di Cristo.
Ciò che l'autore elogia in quest'opera non è tanto la violenza verso i saraceni o la nobiltà di chi uccide una donna guerriera, quanto piuttosto un sentimento cristiano chiamato "il timor di Dio".
Per i più giovani che magari non frequentano molto la messa, preciso volentieri che temere Dio non significa iniziare a tremare di paura ogni volta che lo si nomina o lo si prega.
Qui timore è sinonimo di attenzione ai valori che da Lui provengono.
Nella mentalità medievale era ritenuta un'azione gloriosa e degna di un ottimo cristiano il partecipare ad una crociata per poter liberare il Santo Sepolcro dalle genti di diversa religione. Chiaro che per poterlo fare, bisognava combattere.
Per i medievali, "temere Dio" non significa soltanto pregarlo e venerarlo, ma anche difenderlo con le armi da popoli non cristiani.
Ma ciò che conta non è la nobiltà dell'uccidere, quanto piuttosto la conversione di Clorinda al cristianesimo. Viene battezzata mentre sta morendo.
Ed è il sacramento del Battesimo che le apre le porte del Paradiso.
"In questa forma/ passa la bella donna e par che dorma". 
Ecco dunque che la fine della vita terrena è un necessario passaggio ad una vita migliore. 
Clorinda dunque, con questo sacramento pochi istanti prima di rendere l'anima, si salvava dal limbo dantesco, dove stavano i non battezzati e i fedeli di altre religioni.

Prima di trarre conclusioni un po' troppo affrettate bisognerebbe leggere bene. 
Questa parte del XII° canto della Gerusalemme Liberata nulla ha a che fare con l'oppressione femminile. Rappresenta bene invece la concezione della cristianità da parte dei medievali.

Vi pongo la domanda del titolo, in modo molto simile:  
"Siamo proprio così sicuri del fatto che la nostra tradizione letteraria sminuisce la donna?"

Ecco qui due sonetti di due autori diversi, che dimostrano l'esatto contrario.

GUIDO GUINIZZELLI:

Lo vostro bel saluto e ’l gentil sguardo
che fate quando v’encontro, m’ancide:
Amor m’assale e già non ha reguardo
s’elli face peccato over merzede,

ché per mezzo lo cor me lanciò un dardo
ched oltre ’n parte lo taglia e divide;
parlar non posso, ché ’n pene io ardo
sì come quelli che sua morte vede.

Per li occhi passa come fa lo trono,
che fer’ per la finestra de la torre
e ciò che dentro trova spezza e fende;

remagno como statüa d’ottono,
ove vita né spirto non ricorre,
se non che la figura d’omo rende.

Appartiene allo Stilnovo, nel XIII° secolo, stile poetico che ha come oggetto dei componimenti la figura di una donna angelicata, come non ne esistono nella realtà.
La donna, nei loro componimenti, è "uno spirto celeste" che rende bello e migliore l'animo di tutti coloro che la amano. Anzi, addirittura, ha la capacità di convertire alla fede religiosa i bestemmiatori e gli atei: "e fal de nostra fè se no la crede", scrive lo stesso Guinizzelli in un altro sonetto.
Senza volermi paragonare agli Stilnovisti, anch'io in alcune mie poesie ho idealizzato una figura maschile delineata come bella, pura, meravigliosa, dotata di qualità che fanno pensare a tutto ciò che c'è di bello in natura.

Ma quello degli stilnovisti era vero amore o voglia di gloria poetica? A questo, nemmeno l'illustre critico letterario Asor Rosa sa rispondere. Cinquanta e cinquanta, credo io.
Molto probabilmente gli Stilnovisti si saranno innamorati di qualche bella donna dotata anche di eleganza e gentilezza. Però indubbiamente nutrivano anche l'ambizione di passare alla storia della letteratura con il loro stile aulico, solenne, idilliaco.

Ad ogni modo, sarà anche una poesia del Duecento, ma quanti di voi hanno provato l'esperienza della cotta da colpo di fulmine?? Siamo fatti per amare, per essere amati e per sentirci attratti da qualcuno.

"Per li occhi passa come fa lo trono,
che fer’ per la finestra de la torre
e ciò che dentro trova spezza e fende;"

"lo trono" è il fulmine. Vedi qualcuno che ti sembra bello e affascinante e subito ne resti attratta, al punto tale che per alcuni secondi non riesci a staccare lo sguardo da quella persona.
Mi è successo più di una volta. La prima volta avevo 16 anni.
E quello sguardo sembra durare un'eternità, quello sguardo in cui gli occhi comunicano ciò che a parole si fa sempre e comunque fatica ad esprimere.

PETRARCA:

Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
che ’n mille dolci nodi gli avolgea,
e ’l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;

e ’l viso di pietosi color’ farsi,
non so se vero o falso, mi parea:
i’ che l’esca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di sùbito arsi?

Non era l’andar suo cosa mortale,
ma d’angelica forma; e le parole
sonavan altro, che pur voce humana.

Uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch’i' vidi: e se non fosse or tale,
piagha per allentar d’arco non sana.


E questo è Petrarca. Petrarca che, nonostante lo scorrere del tempo e nonostante la bellezza sfiorita di Laura, continua ad essere innamorato di lei.
Tenete presente che "lume" è metafora di "occhi". 

E ora, ritorno a quel passionale di Tasso, riportando e commentando brevemente qui sotto un suo madrigale.

MADRIGALE N° 288:

     Amatemi, ben mio,
     Perché sdegna il mio core
     Ogni altro cibo e vive sol d’amore.
     V’amerò, se m’amate,
     Né men de la mia vita
     L’amor fia lungo e fia con lui finita.
     Ma s’amarmi negate
     Morirò disperato
     Per non amarvi non essendo amato.


 Probabilmente dedicato a Laura Peperara, questo componimento è indubbiamente espressione di un  sentimento molto, forse troppo forte.
Però, notate bene che non traspare mai un concetto di possesso della donna amata. Solo nel primo verso c'è un possessivo. Ma "Ben mio" è legittimo, dal momento che tutti lo parafraserebbero con "tesoro mio".
Tasso ama la donna con tutto se stesso. Prospetta per sé un dolore atroce in caso di rifiuto. Non allude però ad un suicidio, quanto piuttosto alla morte dell'anima, ad un animo che, se perdesse le speranze di quel progetto d'amore che sogna, diverrebbe spento, atrofizzato dalla cocente delusione.

Niente paura, non c'è misoginia nella poesia italiana e ci sono molte figure femminili positive presenti in poemi, novelle e romanzi. Ne cito soltanto alcune: Lucia Mondella, Beatrice in Dante, Fiammetta nel Decamerone di Boccaccio, Teresa ne "Le ultime lettere di Jacopo Ortis" e, figura molto originale per la sua indipendenza e schiettezza: Mirandolina in Goldoni!


25 novembre 2017

25 novembre: considerazioni etiche e storiche


25 NOVEMBRE. 
Negli ultimi anni, questa data è diventata la "giornata contro la violenza sulle donne".
Avrete la pazienza e la buona volontà di leggere due post così lunghi? (L'altro, un po' più culturale, uscirà probabilmente prima di martedì).

Ne ho fatti due perché ho troppe cose da dire su questo argomento e, anche se ne ho parlato diverse volte lo scorso anno, non ho mai smesso né smetterò mai di ragionarci sopra!
Si tratta di due post che contestano alcuni aspetti dell'ultimo saggio della Murgia: "L'ho uccisa perché l'amavo".

*Se state studiando Giurisprudenza e vi accorgete che ho sbagliato alcune date relative all'introduzione di alcune leggi, avete il pieno diritto di correggermi con un commento sotto.

A) LA VITA DI UNA DONNA E LA VITA DI UN BAMBINO:

Non è passato proprio così tanto tempo da quando sono uscita dal liceo.
In effetti, è ancora vivo in me il ricordo di alcune lezioni di religione a scuola: la nostra insegnante che, ogni anno e almeno una volta al mese, si collegava a un sito intitolato "In quanto donna", per proiettarci sulla Lim un sacco di storie orribili che avevano come protagoniste ragazze e donne massacrate in modo orribile dai loro compagni o mariti.

"Oddio, si sarà impressionata parecchio", penseranno o commenteranno alcuni di voi dall'altra parte dello schermo, conoscendo la mia grande sensibilità.
In realtà non più di tanto, perché lo so da sempre che non tutti gli uomini sono violenti e arroganti.

Mi sono impressionata molto di più quando alcune lezioni sono state dedicate a un film molto crudo sull'aborto, ambientato in Romania: la protagonista era una studentessa universitaria che voleva abortire illegalmente alla fine del quarto mese di gestazione. Alla fine ci è riuscita e, quel che è peggio, senza alcun genere di rimorso!
Sono stata male verso la fine del film: brividi, stomaco chiuso e, tra l'altro, un mio compagno di classe mi aveva detto che ero diventata pallidissima.
E vogliamo parlare di quando la mia insegnante di italiano al biennio ci ha assegnato la lettura di "Balzac e la piccola sarta cinese"?
All'epoca avevo 14 anni e mezzo e leggere tutte quelle scene di sesso non è che mi abbia fatto proprio così bene. Anche lì, la protagonista, una sarta poco più che ventenne, quando scopre di essere incinta, sceglie di abortire.
La fine della storia? Lei che, tutta sorridente e saltellante, esce dall'ambulatorio del medico.

Che schifo! Ma la coscienza dove cavolo ce l'hanno certe tipe?! Ma che vadano a nascondersi in qualche cespuglio spinoso e che ci restino a vita!
Perdonatemi se risulto così dura a questo proposito ma sono oltremodo infastidita dalla mentalità che oggi dilaga, con frasi come: "Qualunque donna ha il diritto di essere libera di decidere se continuare o interrompere una gravidanza".
Questa era anche l'opinione di Margherita Hack, illustre astronoma.
Che poi, se avesse pensato unicamente al suo lavoro di scienziata e se non fosse mai intervenuta in questioni etiche così delicate, sarebbe stato molto meglio.
E la coscienza?? E la realtà di una creatura in arrivo??

La vita di una donna è preziosa. 
Nessun uomo crudele dovrebbe permettersi di interromperla in modo brutale, violento e sanguinoso.
Ma anche la vita di un embrione o di un feto è preziosa, anzi, è dotata di un valore inestimabile.

A 22 anni (entrambe le protagoniste delle storie che ho descritto poco sopra hanno l'età che ho io adesso) si dovrebbe essere abbastanza adulte per potersi assumere tutte le responsabilità di ciò che comporta una relazione affettiva.
Il bimbo in arrivo non è un fardello, dovrebbe essere una gioia, una ricchezza.

La Murgia, in quella settantina di pagine, muove delle critiche pesantissime alla componente cattolica.
Considera "puerili" tutte quelle donne cattoliche che cercano di sottolineare il problema degli aborti in aumento negli ultimi anni.
Perché secondo lei, se qualcuno puntualizza sulle migliaia di aborti volontari che avvengono ogni anno, sminuisce il fenomeno del "femminicidio".

Dico la verità, mi sono sentita offesa.
 
La legge che permette l'aborto è stata introdotta nel 1974; anzi, se non ricordo male è stata promossa con una votazione da parte del popolo italiano chiamato alle urne.
Ma l'aborto è davvero progresso? Per me è un diritto fasullo.
E' un qualcosa che dà l'illusione della libertà e dell'emancipazione.
Io la scelta di abortire la concepisco soltanto in un caso tragico ed estremo, come quello di una violenza sessuale.

Se facciamo passare per "diritto" l'uccisione di una creatura indifesa che sta soltanto auspicando di venire alla luce, siamo veramente superficiali, indelicati e fortemente tendenti all'egoismo, almeno a mio avviso.

B) NON CONFONDIAMO LA MORALE CON LA PSICHE!

L'altro giorno sono andata nella biblioteca civica di Vicenza. Dovevo consultare alcuni manuali utili per la mia tesi di laurea. Nei corridoi dell'edificio, erano affissi manifesti simili a questo sotto:


E' brutto da vedere quel coltellaccio conficcato nel cervello, vero? E' cruenta come immagine.

Più che "morale", dovevano mettere "psicologica".
Le lingue classiche aiutano a distinguere significati di questo genere:
- Morale deriva da "mos, moris", ovvero, "abitudine, tradizione, usanza". E quindi, a partire dall'alba dell'era cristiana "abitudini e modi di vita". La moralità riguarda i sani valori,ovvero,  concerne "l'essere in grado di adottare dei comportamenti consoni per vivere il più rettamente possibile".

- Psicologica invece deriva dal greco "ψυχή" (La Psiche, l'anima). La psiche di una donna che soffre di "dipendenza affettiva" nei confronti di un uomo cattivo è facilmente influenzabile e purtroppo anche manipolabile. La psiche è strettamente legata all'interiorità e all'indole di una persona.
Chi è psicologicamente molto fragile di solito non riesce a uscire da situazioni di pesante oppressione e non è certo dotato di una forte personalità!

Riassumendo: la psiche è un elemento piuttosto complesso. Riguarda la componente caratteriale, il nostro modo di porci con gli altri, i nostri stati d'animo.
La morale coincide invece con l'etica, ovvero, con ciò che è giusto fare nella propria vita per essere leali e il più possibile coerenti con se stessi e con le proprie scelte.
Psiche e morale non sono la stessa cosa. Però non sono nemmeno così inconciliabili, perché un animo dotato di bontà si impegna a mettere in pratica buoni valori morali, cosa che un animo corrotto e perverso invece non fa.

C) NON SI UCCIDE MAI PER AMORE:

"La amavo più di me stesso. Non riuscivo a sopportare il fatto che mi avesse lasciato."

Ragioniamo. Se si ama qualcuno lo si uccide?! In quale logica rientra un comportamento del genere?!
Per essere completamente veritieri bisognerebbe dire:
"Non riuscivo a sopportare il fatto che mi avesse lasciato, per questo l'ho uccisa."
Adesso sì che il discorso è dotato di senso logico-concettuale.
Un uomo violento e malvagio non uccide la sua compagna perché non riesce a vivere senza di lei, ma stiamo scherzando??
La massacra per un altro motivo, totalmente differente, ovvero, quello del "terribile affronto" che sente di aver subito.
"Lei mi lascia? Lascia un compagno attraente e affascinante come me? (o meglio, come credo di esserlo io?) Come può farmi questo?"

In parole povere, la trucida, spesso in modi indicibili, perché la sua sconcertante prepotenza non sopporta il fallimento in una relazione.

Il diritto di compiere il "delitto d'onore" è stato abolito nel 1981.
Che poi, quale "onore"? L'onore di possedere la moglie? Ucciderla se ti tradisce per poter essere stimato dalla comunità? Ma che senso ha un'espressione del genere?
"Io guadagno l'onore presso i miei concittadini se uccido mia moglie che va a letto con un altro."
E quindi, l'onore acquisito spegnendo per sempre la vita di una donna che credi di amare ma che in realtà non hai mai amato veramente?!
No, direi che non ci siamo. Era piuttosto arretrata anche l'Italia del Secondo Novecento!

Il delitto d'onore è stato abolito dalla legge, ma nella realtà del nostro presente si continua a commetterlo.
Alcuni giudici puniscono l'assassinio di una donna con 30 anni di reclusione o con l'ergastolo.
E' il caso di Michele Buoninconti che circa due anni fa aveva ucciso la moglie Elena Ceste, madre dei suoi quattro figli (la più grande attualmente ha soltanto 15 anni).
Ma anche pene così giuste nella loro severità, non potranno mai restituire la madre uccisa a dei figli ragazzini, consapevoli di avere anche un padre assassino, bugiardo, anaffettivo, insensibile.


D) CHE COS'È LA VERA EMANCIPAZIONE FEMMINILE?

Sono davvero preoccupata se penso ai comportamenti che molte ragazze appartenenti alla mia generazione adottano. 
Abbastanza di recente sono stata in un night club, anzi, è più corretto dire che mi hanno trascinata in quel posto.
A mezzanotte e venti ho assistito ad una scena disgustosa: tre ragazze, molto vicine alla mia età, che sono entrate nello stesso bagno. Già sbronze, ciascuna con una mano teneva un boccale pieno di birra mentre con l'altra, tutte e tre tenevano gli smarthphone già aperti sull'opzione "fotocamera".
Tutte e tre nello stesso bagno. 
Capacissime di essersi fotografate certe parti del corpo per poi averle inviate a qualche ragazzo, nella speranza di essere lodate dalla componente maschile, che solitamente o finge di apprezzare cose di questo genere con commenti sarcastici, o insulta pesantemente e diffonde tutto.
Chiaro che i ragazzi non possono avere stima di ragazze che "mostrano troppo", almeno, quelli un pochino sani di mente, perché non dimentichiamoci che i porcellini esistono e sono sempre esistiti!

Le nostre bisnonne e nonne hanno lottato per il diritto di voto. Le italiane hanno votato per la prima volta nel 1946, appena dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Le nostre mamme si sono battute per vedersi riconosciuti i loro diritti sul lavoro e per fare in modo che le molestie e le violenze sessuali venissero considerate un reato punibile anche con la reclusione.

E noi, nate negli anni Novanta? 
Io, e fortunatamente non sono l'unica, studio e cerco di sfruttare nel miglior modo le mie doti umane e intellettive. 
Purtroppo però esiste un buon numero di ragazze, adolescenti e giovani adulte, convinte che, per poter essere emancipate sia necessario adottare le peggiori abitudini maschili, come drogarsi, ubriacarsi, adottare un linguaggio scurrile e bestemmiare.
A tutto questo, aggiungono anche "azioni pornografiche". E questo mi preoccupa. 
Non voglio che ci sia regressione in futuro.

E) LA DONNA NELLA PREISTORIA NEOLITICA:

Nel Neolitico la società dell'Europa non è sempre stata patriarcale e non ha sempre comportato la subordinazione della donna all'uomo.

Gli archeologi hanno scoperto che l'Europa prima dell'invasione degli indoeuropei (popolo dalla cui lingua derivano molte lingue antiche storiche come greco, latino e sanscrito), era una società matriarcale.
La donna si occupava dell'educazione dei figli, poteva avere più mariti, poteva addirittura ereditare.
Mi sto riferendo ad un' Europa parecchio remota, diciamo intorno al VI° millennio a.C.
Oltre a ciò, il corpo della donna era proprio venerato dalla religione e dall'arte.
La religione dei popoli di quell'antichissima Europa aveva come divinità principale la "Grande Madre", protettrice della fecondità della terra, spesso collegata anche alla capacità di procreare e di partorire.
La morte era il "passaggio ad una vita più felice" rispetto a quella terrena. Nei sepolcri erano spesso presenti immagini che richiamavano l'apparato riproduttore femminile, simbolo non soltanto dell'alba della vita ma anche di una rinascita dopo la morte.
La morte era vista come un "dolce riposo", una quieta e calma attesa, necessaria per poter iniziare una vita completamente serena.
Fateci caso, nell'arte preistorica sono molto frequenti le sculture in terracotta che evidenziano un po' troppo le parti del corpo femminili, nel senso che le rendono decisamente più grandi di quello che sono nella realtà. Se digitate "Veneri Preistoriche" ve ne accorgete ;-)
Indubbiamente gli uomini preistorici erano più affascinati di noi dal mistero della nascita.

La società dell'Europa pre-indoeuropea non ha lasciato fonti scritte relative alle leggi.
Si suppone che ci fosse un sistema di scrittura rettilineo (non decifrato), utilizzato però soprattutto per scopi religiosi.
Il fatto che all'epoca la donna fosse in una posizione privilegiata lo sappiamo soprattutto dall'analisi di fonti archeologiche e scultoree, ma non abbiamo leggi né costituzioni.

Come anche i giuristi sanno, le più antiche testimonianze legislative prevenuteci sono il Codice babilonese di Hammurabi (basato sulla legge del taglione), le leggi di Dracone in Grecia (VII° a.C.) e le leggi delle dodici tavole nel 450 a.C., nell'epoca di una civiltà latina ancora preletteraria.

Con la conquista dell'Europa da parte degli Indoeuropei, probabilmente originari delle steppe della Russia Meridionale, i valori si capovolgono. La società diviene patriarcale e inizia la lunga storia di subordinazione della donna agli uomini della famiglia.
C'è una parola in indoeuropeo che addirittura sembra evidenziare delle differenze di importanza all'interno della famiglia tra donna e donna: *swesòr (=sorella) da cui inglese "sister", tedesco "Schwester" e latino "soror, sororis".
Da notare che *swesòr è composta dal pronome *swe (=propria) + *sòr (=donna).
Probabilmente quindi, negli stadi più antichi della lingua indoeuropea (ricostruita, tra l'altro, quindi i linguisti non hanno nulla di certo tra le mani!) era un termine che designava tutte le donne appartenenti alla famiglia di origine di un uomo, quindi le sorelle, la madre, le nonne, le cugine.
Già soltanto per il fatto che erano sue consanguinee potevano essere considerate "di proprietà" del pater familias, che regolava le loro vite.
La moglie dell'uomo, ovvero la *snusòs, la nuora del capo-famiglia, era sempre vista come un'estranea, come una parente acquisita tramite accordo matrimoniale e per questo di minor rilievo rispetto alle parenti consanguinee.
I figli del capo-famiglia, quando si sposavano, non fondavano una nuova famiglia, ma rimanevano all'interno del nucleo familiare originario.
Da notare anche che in indoeuropeo non soltanto manca un termine per designare la moglie ma addirittura sembra che non siano mai esistiti dei termini per definire le relazioni tra il marito e la famiglia di origine della moglie, forte indizio del fatto che questa società era decisamente maschilista.
La donna, durante l'infanzia e l'adolescenza era sottoposta all'autorità del padre, poi, una volta sposatasi, era sottomessa al marito e anche al padre del marito, cioè al suocero.

Dal V° millennio a.C. la società europea è divenuta patriarcale, e lo è stata per millenni.
Patriarcale al punto tale da considerare un oggetto e non una persona colei che è portatrice di vita.

Negli ultimi decenni sono certamente stati fatti dei progressi significativi.
Quello che vorrei comunicare con questo post è ciò che ho già scritto diverse altre volte: ragazze, tenetevi stretta la vita! E' ciò che di più prezioso abbiamo ed è una sola.
Per questo non dovremmo permetterci di disprezzare questo enorme dono con comportamenti lesivi per la nostra dignità.



16 novembre 2017

La nostalgia dell'amato:

Anche questo è un argomento piuttosto ricorrente nella letteratura di tutti i tempi.
Ad ogni modo, stasera vorrei riportare e commentare una poesia di Metastasio accompagnata da una scultura greca risalente al IV° sec. a.C.

PIETRO METASTASIO E L'ARCADIA

A dire il vero il suo vero nome era Pietro Trapassi, nativo di Roma.
Ma dal momento che era entrato a far parte dei poeti dell'Accademia dell'Arcadia, gli era stato consigliato di grecizzare il suo cognome in "Metastasio".
L'Arcadia era una regione della Grecia nella quale in epoca antica era fiorito un filone di poesia pastorale (penso a Teocrito, poeta greco vissuto nel pieno dell'epoca ellenistica). Protagonisti di questo genere poetico erano dei pastori immersi in una natura idilliaca.
I poeti italiani dell'Arcadia, tutti attivi nella prima metà del XVIII° secolo, assumevano un cognome fittizio, spesso ispirato a nomi di pastori greci tramandati dalla tradizione classica. La loro è di solito una lirica sentimentale, talvolta al limite del patetico, finalizzata a eliminare l'abuso di metafore argute tipiche del periodo barocco (XVII° secolo). In tutti i loro componimenti, gli autori dell'Arcadia si fingono pastori in preda a sofferenze d'amore per una ninfa.


Questa mi è servita molto quando ho preparato sia storia greca sia dialettologia greca.
Un'occasione ulteriore per rendervi ancora più partecipi dei miei studi: l'Arcadia è al centro di quella penisola, detta Peloponneso, ad est di Zacinto, attualmente Zante.

LA PARTENZA: 

Ecco quel fiero istante;
Nice, mia Nice, addio.

Come vivrò, ben mio,
così lontan da te?
Io vivrò sempre in pene,
io non avrò più bene;

e tu, chi sa se mai
ti sovverrai di me!
 
Soffri che in traccia almeno
di mia perduta pace
venga il pensier seguace
su l'orme del tuo piè.
Sempre nel tuo cammino,
sempre m'avrai vicino;

e tu, chi sa se mai
ti sovverrai di me!

Io fra remote sponde
mesto volgendo i passi,
andrò chiedendo ai sassi,
la ninfa mia dov'è?

Dall'una all'altra aurora
te andrò chiamando ognora,
e tu, chi sa se mai
ti sovverrai di me!

Io rivedrò sovente
le amene piagge, o Nice,
dove vivea felice,
quando vivea con te.
A me saran tormento
cento memorie e cento;

e tu, chi sa se mai
ti sovverrai di me!

Ecco, dirò, quel fonte,
dove avvampò di sdegno,
ma poi di pace in pegno
la bella man mi diè.
Qui si vivea di speme;
là si languiva insieme;

e tu, chi sa se mai
ti sovverrai di me!

Quanti vedrai giungendo
al nuovo tuo soggiorno,
quanti venirti intorno
a offrirti amore e fé!
Oh Dio! chi sa fra tanti
teneri omaggi e pianti,
oh Dio! chi sa se mai
ti sovverrai di me!

Pensa qual dolce strale,
cara, mi lasci in seno:
pensa che amò Fileno
senza sperar mercé:

pensa, mia vita, a questo
barbaro addio funesto;

pensa... Ah chi sa se mai
ti sovverrai di me!

Notate che ho evidenziato in grassetto una frase che ricorre più o meno uguale a se stessa alla fine di ogni strofa. E' quello che i musicisti chiamerebbero "refrain", ovvero,una parte di testo ripetuta più volte tra una strofa e l'altra. In parole povere e semplici, è un ritornello!

La situazione è la seguente: Metastasio finge di essere un pastore chiamato Fileno, innamorato perso di Nice, l'amata che parte per luoghi lontani. 
Le tematiche che ho individuato sono tre: l'addio, il dolore e la memoria. Se osservate bene sopra le ho contrassegnate con tre colori diversi all'interno del testo.
Fileno "languente" (come mi piace questo termine!) immagina che il suo amore per Nice e il suo dolore per la partenza della ninfa si mantengano intatti e costanti nel corso del tempo, grazie anche ai ricordi dei luoghi in cui ha trascorso dei momenti felici con lei.
Ma secondo voi questa è solo tristezza mescolata a dolci memorie d'amore?
Pensate al fatto che l'esclamazione riccorrente fa così: "e tu chi sa se mai ti sovverrai di me!". 
Se il poeta è convinto di potersi mantenere perseverante nel suo innamoramento, può ritenersi altrettanto sicuro della fedeltà della donna amata? 
"Quanti vedrai giungendo/al nuovo tuo soggiorno/quanti venirti intorno/a offrirti amore e fe'!"
Fileno sa benissimo di amare una donna attraente... 
Ma la domanda allora è anche un'altra: quanto forte è radicata la memoria della loro relazione nella mente di Nice? Quanto è sincero il suo sentimento per Fileno?

L'espressione "dolce strale" rievoca un concetto assai ricorrente nella letteratura italiana medievale (poeti stilnovisti e Petrarca): la freccia d'amore che provoca ferite nel cuore dell'amante.

"Trovommi Amor del tutto disarmato,
et aperta la via per gli occhi al core,
che di lagrime son fatti uscio et varco.

Però, al mio parer, non li fu honore
ferir me de saetta in quello stato,
a voi armata non mostrar pur l'arco."

E' così che termina il terzo sonetto del Canzoniere di Petrarca.
Il forte sentimento d'amore per Laura è un "fulmine a ciel sereno": pervade prepotentemente il cuore del poeta che attraverso gli occhi viene a contatto con la donna. 


IL POTHOS DI SKOPAS:


Me ne rendo conto, è completamente nudo e spero che questo non scandalizzi nessuno!
E' una statua che risale al IV° secolo a.C.
Pothos era una divinità che rappresentava la nostalgia verso l'oggetto d'amore lontano. 
Nostalgia, e questo l'ho appreso studiando l'epica, deriva da νòστoς (= ritorno) + αλγoς (=dolore).
Il dio è totalmente inclinato su un lato, ha le gambe incrociate e le braccia (parzialmente perdute) sollevate verso un appoggio esterno, che non doveva essere costituito soltanto dal mantello.
Il suo viso, dolce, malinconico e sognante, è rivolto verso l'alto. 
Mi piace molto questa statua, perché a mio avviso si pone tra due tempi della storia individuale di ogni uomo: il passato e il futuro. 
Pothos, in questa scultura, sogna e ricorda come ogni uomo che prova dolore in assenza della persona amata: ricorda gli attimi felici vissuti e oltre a ciò, come Raf, si chiede: "L'infinito sai cos'è? L'irraggiungibile fine o meta che rincorrerai per tutta la tua vita. Ma adesso che farai? Adesso, io non so."
La sua memoria affettiva è fortemente legata al passato e il suo intelletto gli suggerisce di "preoccuparsi" del suo avvenire: vivrò un futuro felice? Tornerà lei? E se non tornerà, saprò in qualche modo costruire un bel progetto di vita? Ovviamente egli spera ardentemente di incontrarla di nuovo per poterla stringere a sé e già sogna questa eventuale scena di vita futura. 
E' la speranza che gli permette di vivere un momento che non è ancora avvenuto e che non è affatto un futuro "prossimo, programmato e certo", come le grammatiche di lingua inglese ci insegnavano a proposito del "present continuous".

Neanche a farlo apposta, l'altra notte ho sognato che mi trovavo nella stanza più alta di una torre con un ragazzo stupendo. Gli cingevo le spalle con un braccio e leggevamo le liriche di Ungaretti. 
Era una conversazione intelligente la nostra, proprio come quelle che ho avuto con più di un ragazzo nella vita reale degli ultimi tre anni.
Ad un tratto, mi sono sentita male. Ad un tratto mi sentivo stranamente debole. 
Quando mi sono alzata di scatto gli ho detto: "Devo andare, sento che non posso più restare qui!"
Si è messo a piangere. Mentre scendevo in fretta le scale, mi è corso dietro, mi ha afferrato per un braccio quasi gridando: "Ma ci rivedremo, vero?" Aveva il volto deformato dalle lacrime. 
E io, trattenendo il pianto, gli ho risposto, accarezzandogli un guancia: "Spero di sì".
Poi il sogno si è interrotto... cioè, io non mi ricordo altro.

Ad ogni modo, per chiudere il post, volevo porvi delle domande:
Il distacco da coloro che amiamo e che ci amano è sempre e comunque doloroso. Tutti, più o meno una volta nella vita, lo abbiamo provato, anche se solo per poche ore o pochi giorni.
Secondo voi, in quale modo il dolore e la profonda nostalgia per una persona che non possiamo più frequentare, lontana o morta che sia, si attenua nel corso del tempo? 

... Credo che la vita sia un dono troppo grande per poter essere consumato tutto nel pianto e nel "languore"!...

















13 novembre 2017

"Un inestimabile tesoro nascosto":


In questi ultimi mesi sto seguendo nella mia parrocchia un corso sulla "Sacra Scrittura" che mi sta aiutando a maturare ulteriormente nella fede e quindi a interiorizzare i messaggi evangelici. 
Nell'ultimo incontro il relatore ci ha proposto di riflettere su due parabole tratte dal Vangelo di Matteo.

DAL VANGELO SECONDO MATTEO
CAPITOLO 13, Vv. 44-46:

"Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra."

Praticamente ci ha detto di interpretare questo brano seguendo il metodo della "Lectio", che consiste nei seguenti punti:

1) Sottolinea ciò che maggiormente ti ha colpito e che ritieni importante. Metti un punto di domanda di fianco a quello che ti è poco chiaro.
2)Dai un titolo al brano.
3)Chiediti: cosa significa questa Parola di Dio?
4)Rileggi il brano per "fissare" lo sguardo del cuore sul Signore.
5) Vivi! Vivi ciò che hai meditato.

Ora cerco di spiegarvi come ho proceduto io nella comprensione del testo: 

 Frasi sottolineate:  "Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo"/ "(...) poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi".

Punti interrogativi: tutto il versetto 46 relativo al mercante. Va alla ricerca di perle preziose ma non appena ne trova una, vende tutto per poterla avere. Non credo sia sano di mente!

Titolo del brano: "Un inestimabile tesoro nascosto". 

LA MIA INTERPRETAZIONE:

Perdonate la mia lettura alla "Into the wild" ;-) 
Nel senso che, nella spiegazione che io ho cercato di dare alla parabola, sono contenuti tutti i valori che quel film vuole trasmettere. Me ne sono accorta soltanto alla fine dell'incontro.



Il tesoro nascosto è ciò che ha valore nella nostra quotidianità, ovvero: l'amore verso il prossimo, i nostri gesti di solidarietà, l'amore che gli altri ci riservano, l'impegno quotidiano e costante nel realizzare degli obiettivi, le nostre risorse umane e mentali, i momenti condivisi con le persone che abbiamo di più care al mondo.
"Trovare il tesoro" significa riscoprire ciò che ci dà gioia nei momenti più impegnativi e difficili, quando più che mai sentiamo il bisogno di "guardarci dentro" per poterci mettere alla ricerca di noi stessi, alla ricerca di ciò che siamo e di ciò che effettivamente desideriamo.
Però, l'uomo nasconde di nuovo il tesoro, perché siccome non vuole lasciarselo sfuggire, se lo tiene stretto. Nel momento in cui lo nasconde ha già compreso che la sua vita, senza di esso, sarebbe grigia, indegna di essere vissuta e caratterizzata soprattutto da noia, solitudine, prostrazione.
Gli atti di vendere gli averi e di acquistare il campo dimostrano un cambiamento di atteggiamento nei confronti della vita: eliminare o tralasciare ciò che è superfluo per poter aderire alla Parola.

COMMENTO DI PADRE ERMES RONCHI:

"Tesoro e perla: nomi bellissimi che Gesù sceglie per dire la rivoluzione felice portata nella vita dal Vangelo. La fede è una forza vitale che ti cambia la vita. E la fa danzare.
«Trovato il tesoro, l'uomo pieno di gioia va, vende tutti i suoi averi e compra quel campo». 

La gioia è il primo tesoro che il tesoro regala, è il movente che fa camminare, correre, volare: per cui vendere tutti gli averi non porta con sé nessun sentore di rinuncia (Gesù non chiede mai sacrifici quando parla del Regno), sembra piuttosto lo straripare di un futuro nuovo, di una gioiosa speranza.
Niente di quello di prima viene buttato via. Il contadino e il mercante vendono tutto, ma per guadagnare tutto. Lasciano molto, ma per avere di più. Non perdono niente, lo investono. 
Così sono i cristiani: scelgono e scegliendo bene guadagnano. Non sono più buoni degli altri, ma più ricchi: hanno investito in un tesoro di speranza, di luce, di cuore.
I discepoli non hanno tutte le soluzioni in tasca, ma cercano. Lo stesso credere è un verbo dinamico, bisogna sempre muoversi, sempre cercare, proiettarsi, pescare; lavorare il campo, scoprire sempre, camminare sempre, tirar fuori dal tesoro cose nuove e cose antiche.

Mi piace accostare a queste parabole un episodio accaduto a uno studente di teologia, all'esame di pastorale. L'ultima domanda del professore lo spiazza: «come spiegheresti a un bambino di sei anni perché tu vai dietro a Cristo e al Vangelo?». Lo studente cerca risposte nell'alta teologia, usa paroloni, cita documenti, ma capisce che si sta incartando. Alla fine il professore fa: «digli così: lo faccio per essere felice!». È la promessa ultima delle due parabole del tesoro e della perla, che fanno fiorire la vita.
Anche in giorni disillusi come i nostri, il Vangelo osa annunciare tesori. Osa dire che l'esito della storia sarà buono, comunque buono, nonostante tutto buono. Perché Qualcuno prepara tesori per noi, semina perle nel mare dell'esistenza.  "


Me ne rendo ben conto, questo è un altro post che mette in luce il mio sincero e forte interesse per la Fede. Ad ogni modo, volevo scriverlo per potervi proporre un metodo di lettura del Vangelo che potrebbe aiutare soprattutto i giovani vicini alla mia età a vedere la Bibbia come una fonte preziosa, non come un qualcosa di lontano e di distaccato dalla vita reale.

Per concludere la riflessione, vi metto qui sotto uno dei miei passi preferiti del Vangelo di San Marco. Quando avete tempo e se avete voglia potete seguire più o meno il metodo della Lectio concentrandovi sulla parabola che ho riportato qui sotto.
Non preoccupatevi se all'inizio vi viene difficile scrivere qualcosa o elaborare una piccola riflessione come la mia sopra: io stessa nei primi minuti dell'attività ero in difficoltà.


PARABOLA DEL GRANELLO DI SENAPA:
MARCO 4, V.v. 30- 32:

"Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra»."


Pensate, ragionate e... divertitevi!! ;-)